ME NE VADO DA ROMA
ma prima modificami


Me ne andavo da quella Roma transessuale, pariola, della amatriciana, da quella Roma dei palazzinari, degli autosaloni, dei Ricucci, dei Malogo, della Rai, di Maffai dei Costanzo e dei Rutelli, della Lupa e dei Gemelli, da quella Roma sparita, spogliata, incantata, derubata e fotografata, dai turisti e dai tranvieri, dei balilla e dei tedeschi, da quella Roma affamata, bombardata, città apeta, dalla Roma stupida stasera, dalla luna de Roma, un friccico, un pizzico 'no spizzico.
da quella Roma delle pizzerie, delle latterie,dei "Sali e tabacchi", degli "Erbaggi e frutta", quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle.
Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli Uffici Postali e dell’Anagrafe, quella Roma dei funzionari dei Ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione.
Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani,delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare destra, della Circolare sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti.
Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di Piazza Bologna, dei Parioli,di Via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a Piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini.
Me ne andavo da quella Roma "che ci invidiano tutti", la Roma "caput mundi", del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell’Altare della Patria, dell'Università di Roma, quella Roma sempre con il sole, estate e inverno, quella Roma che "è meglio di Milano".
Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, degli Ianetti, dei Ventrella, dei Bulgari, degli Schostal, delle sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove "non c’è lavoro", dove "non c’è una lira", quella Roma del "core de Roma". Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de’ Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei "che c’hai una sigaretta?", "imprestami 100 lire", quella Roma del CONI, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini.
Me ne andavo da quella Roma di merda: mamma Roma, addio!

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